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di Sergio Palumbo
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Cent'anni fa nasceva l'artista messinese,
uno dei più significativi esponenti del movimento di "Corrente"


Migneco, il normanno di Sicilia


La sua pittura è un grido
fra vangoghismo cromatico e realismo sociale



Gazzetta del Sud - 6 dicembre 2008 - pag. 22

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«Migneco, siciliano di Messina, da vent'anni è domiciliato a Milano. In vent'anni l'ho sentito parlare poco: e quel poco a bassa voce e anche con una certa contrarietà. In vent'anni non ho mai ricevuto una telefonata di Migneco, né un biglietto; gli inviti alle sue mostre e i suoi cataloghi arrivano per posta, spedizione normale, per ufficio. Lodata sia la discrezione di Migneco: esemplare sotto tutti i punti di vista».

Così si apre un saggio del 1960 dedicato a Giuseppe Migneco del critico d'arte e poeta Raffaele Carrieri, il quale coglie una caratteristica del pittore messinese di cui ricorre quest'anno il centenario della nascita. "Peppino" Migneco è morto nel 1997, undici anni fa, ma se fosse stato ancora vivo oggi per l'occasione avrebbe accolto con fastidio qualsiasi pubblico festeggiamento a lui riservato. Schivo per natura, questo maestro dell'arte italiana contemporanea è sempre rimasto nella sostanza un uomo genuino, uno spirito libero e indipendente, allergico agli eventi mondani dell'arte e della cultura.
Occhi azzurri, aspetto giovanile, maglione a dolce vita, inconfondibile berretto in testa: così si presentava Migneco e così ricordo l'amico, già amico carissimo di mio padre Vincenzo. Questo taciturno e leale normanno di Sicilia, come l'ha definito il critico Luciano Anceschi, si può considerare in un certo senso figlio d'arte perché il padre, che di mestiere faceva il capostazione, si dilettava a scrivere poesie in vernacolo che l'editore Flaccovio di Palermo ha pubblicato nel 1972 con prefazione di Leonardo Sciascia. Nato a Messina nel 1908, Migneco vive gli anni della prima infanzia a Ponteschiavo, alla periferia della città natale: questa stagione felice trascorsa in piena libertà, ta il mare e la campagna, resterà nella sua memoria come il ricordo di un paradiso perduto e tornerà in seguito come un leit-motiv in molti suoi dipinti.
A Messina frequenta il ginnasio-liceo Maurolico, dove consegue la maturità classica.Nel 1931, poco più che ventenne, si trasferisce a Milano per seguire i corsi di medicina nell'università del capoluogo lombardo, studi che ben presto abbandona nel tentativo di tradurre in realtà le aspirazioni artistiche che lo hanno spinto a lasciare la Sicilia. Riesce a sopravvivere collaborando prima con qualche illustrazione al "Corriere dei Piccoli" ed eseguendo bozzetti pubblicitari per una ditta di cravatte, poi lavorando come ritoccatore di rotocalco negli stabilimenti Rizzoli.Dipinge, frattanto, quadri di contenuto autobiografico-esistenziale. Ma sono l'incontro con lo scrittore Beniamino Joppolo, suo compagno di ginnasio a Messina, e, attraverso lui, la conoscenza di Birolli, De Grada, Sassu, che segnano la svolta decisiva per Migneco.
Egli scopre infatti quel mondo pittorico verso cui, nebulosamente, ma anche irresistibilmente, si è sempre sentito attratto.Con l'incoraggiamento di questi vecchi e nuovi amici, la frequentazione dei loro studi e il senso di libertà che la loro pittura gli comunica, l'artista siciliano si mette a dipingere seriamente. Fra i primi ad accorgersi di lui sono il pittore Carlo Carrà, lo scrittore Guido Piovene e il critico d'arte Raffaele De Grada.Nel 1937 Migneco è tra i fondatori del movimento di "Corrente", distinguendosi per il suo accentuato vangoghismo, rintracciabile nell'acidità cromatica e nella pennellata intricata e ondeggiante. Legato al quindicinale "Vita giovanile", l'avanguardistico movimento di "Corrente" nasce a Milano per iniziativa di Ernesto Treccani.
"Corrente" rifiuta l'isolamento della cultura fascista, propugnando un rinnovamento artistico in chiave europea. E i pittori del movimento affermano la necessità di un'arte più impegnata e loro punto di riferimento morale, prima ancora che estetico, diviene l'emblematico quadro "Guernica" di Pablo Picasso.Nel 1940 l'artista messinese inaugura a Genova, alla galleria Cairola, la sua prima mostra personale; l'anno dopo espone alla Bottega di "Corrente" e poi partecipa al premio "Bergamo" con "Cacciatori di lucertole", considerato il capolavoro di Migneco del primo periodo. Durante la guerra, chiamato sotto le armi, deve interrompere l'attività artistica per riprenderla, alla fine del secondo conflitto mondiale, nel 1945, con la mostra alla galleria Santa Redegonda di Renzo Bertoni a Milano.
Migneco viene già considerato come uno dei maggiori espressionisti novecenteschi ma l'interesse per la problematica sociale porta il pittore siciliano nel dopoguerra ad accostarsi al gruppo realista, con cui partecipa alla Biennale di Venezia del 1952. L'artista diventa così anche uno dei protagonisti del neorealismo, pur rimanendo un esempio particolare di pittore isolato. Nelle più recenti opere lo stile di Migneco si evolve in senso più pacato, organizzandosi in campiture di colore che definiscono spazi più rigorosi. Coerentemente l'artista continua a variare e ad approfondire i medesimi soggetti, anche se lo fa con un altro spirito, con una nuova sensibilità. In ciò Migneco si dimostra ancora fedele alla sua Sicilia, tema privilegiato nella sua opera pittorica. Spesso si sofferma su un'umanità dolorosa, su popolani e umili lavoratori. La sua pittura è davvero un grido, come giustamente osserva Joppolo.
Alcuni suoi dipinti, in particolare, si distinguono per scene e figure drammatiche e addirittura provocatorie. Esemplare, in tal senso, una delle sue composizioni più significative, la crocifissione che porta il titolo "Le sementi" e che viene esposta alla Biennale di Venezia nel 1958, suscitando grande scalpore e vivaci polemiche. A cavallo tra il 1983 e il 1984 la città natale dedica una grande mostra all'ormai famoso pittore noto pure all'estero.
La prima antologica di Giuseppe Migneco è allestita a Palazzo Zanca con in esposizione più di cento dipinti a olio su tela dell'artista che coprono un arco di tempo che va dagli anni Trenta ai primi anni Ottanta. Il Migneco del terzo tempo, dell'ultimo tempo, cambia più dentro che fuori, più umanamente che esteticamente. Il pittore ormai vecchio non nasconde il proprio pessimismo e le proprie delusioni ma la sua arte continua a essere antiretorica e quindi ancora una volta libera. Come il maestro, che libero lo è stato per tutta la sua vita.

Sergio Palumbo
Gazzetta del Sud - 6 dicembre 2008



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