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di Sergio Palumbo
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A quarant'anni dalla morte del letterato siciliano,
premiato col Nobel nel 1959, si riscopre "Ed è subito sera"


Conti aperti con Quasimodo



Ingeneroso retrocedere il poeta a un minore
della lirica italiana del '900


Gazzetta del Sud - 14 Giugno 2008 - pag. 21

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«Ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole: / ed è súbito sera».

Sono i versi famosi della felicissima istantanea poetica di Salvatore Quasimodo, dal titolo proprio "Ed è subito sera", inserita nell'omonima raccolta di liriche che uscì per "Lo specchio" mondadoriano in piena seconda guerra mondiale.
Rileggiamo un po' emozionati questi versi folgoranti da un'edizione storica, oggi di gran valore bibliografico, la prima assoluta dell'ottobre 1942, con un saggio illuminante di Sergio Solmi – ripreso dalla precedente edizione scheiwilleriana di "Erato e Apòllion" – e il meglio dell'opera prodotta fino a quel momento dal poeta siciliano non ancora premiato con il Nobel. Il volume contiene, dopo un severo lavoro di revisione dell'autore, 119 testi divisi in cinque sezioni, esemplari testi delle "Nuove Poesie", di "Erato e Apòllion", di "Òboe sommerso", di "Acque e terre" e poi ancora una scelta delle prodigiose traduzioni dai classici (dai "Lirici greci" e dalle "Georgiche").
"Ed è subito sera", libro definitivo della poesia quasimodiana degli anni Trenta, con l'aggiunta delle "Nuove Poesie", riscosse all'epoca e nell'immediato dopoguerra grandi consensi critici e di pubblico. Il successo in particolare della lirica "Ed è subito sera" si deve all'incisività del verso finale che ha una qualche risonanza ungarettiana e pre-ermetica per la brevità e la sostanziale trasparenza del dettato. E poi al centro della lirica c'è il tema della solitudine e della transitorietà dell'esistenza umana, un tema meta-temporale e meta-spaziale, caro all'autore, che ritorna, sia pure con diversi accenti e diversa densità di linguaggio metaforico, in tutta la sua poesia.
Inoltre la raccolta "Ed è subito sera", nel suo insieme, segna anche un punto di svolta nella carriera letteraria di Quasimodo perché indica il passaggio al cosiddetto "secondo tempo", quello dell'impegno civile rispetto all'anteriore fase ermetica, emblematicamente annunciato qui dal gruppo delle "Nuove Poesie" scritte fra il 1936 e il 1942.
Ora, a quarant'anni dalla morte di Salvatore Quasimodo (1901-1968), rivisitando la raccolta "Ed è subito sera", scopriamo che l'opera mantiene intatto il proprio magnetismo e si può ancora ritenere – senza compiacente indulgenza campanilistica – tra le più alte espressioni della lirica italiana contemporanea. E a questo punto nasce spontanea una domanda: come si spiega che Quasimodo oggi è caduto in disgrazia dal punto di vista critico.Stefano Giovanardi alcuni anni fa chiudeva così un suo articolo su "la Repubblica": «Davvero curioso, il caso-Quasimodo, e a suo modo emblematico: un minore di grande talento costretto dalla storia e dalle circostanze a sentirsi un maggiore [.]
Forse sarebbe tempo di riparare al torto che la società letteraria italiana e i soloni di Svezia gli hanno fatto, e di chiedergli davvero scusa, a nome di tutti, del successo così inopinatamente tributato». Gli faceva eco Giovanni Raboni riaprendo la questione, ma in termini più garbati, sul "Corriere della Sera": Quasimodo è un minore, ma meritevole di figurare in un'antologia poetica del Novecento. C'è da chiedersi perché non abbiano preso posizione in questa ormai infinita diatriba sul valore del poeta siciliano i tanti critici e studiosi che pure hanno costruito buona parte delle loro fortune perlopiù accademiche sull'opera quasimodiana. Morto Carlo Bo – il maggiore critico quasimodiano –, che ha sempre difeso il poeta, l'unico che continua a spendersi generosamente per contrastare la tendenza al ridimensionamento è Gilberto Finzi.
Ma perché si guarda con tanta sufficienza a Quasimodo in Italia? Non si può giustificare il fenomeno solo adducendo che aveva molto nemici, che era un uomo troppo ironico e sospettoso, che costruì la sua fortuna poetica su un Nobel immeritato. Certo, il più prestigioso alloro letterario conferitogli nel 1959 dall'Accademia di Svezia, che lo preferì ai più quotati Ungaretti e Montale, suscitò dure reazioni soprattutto nel nostro Paese. La vittoria a sorpresa del Nobel fu considerata alla stregua di un "furto" da parte di molti e non gli venne mai perdonata.
Da quel momento, il rapporto dell'autore di "Vento a Tìndari" con l'ambiente letterario italiano, anziché migliorare, peggiorò, ed è forse anche questa una delle ragioni che ha favorito la "cortina di ferro" sulla sua opera. In realtà, il fenomeno si spiega col fatto, osserva Pier Vincenzo Mengaldo, che i più giovani critici sono meno disponibili verso il poeta siciliano rispetto a quelli formatisi tra le due guerre, che ne hanno mantenuto immutata o quasi la stima. I Bo, i Solmi, i Macrì, i Vigorelli, gli Anceschi e tutti gli altri, che lo avevano seguito e sostenuto in pieno nel suo primo tempo, quello ermetico, non lo hanno fatto, almeno con la stessa assiduità o convinzione, salvo qualche eccezione, nel secondo tempo, quello civile, pur continuando a considerarlo tra le personalità centrali della poesia italiana novecentesca. Valutazione, quest'ultima, condivisa in fondo sostanzialmente dallo stesso Gianfranco Contini. Forse, però, occorre riconoscerlo con franchezza, si è caduto da un eccesso all'altro.
Se prima il poeta era effettivamente sopravvalutato, ora il processo di revisione rischia di sminuirlo oltre misura. E non si può soltanto sostenere, come insiste invece Giovanardi, che le traduzioni dei lirici greci siano la cosa migliore che Quasimodo ci abbia lasciato. Il che in un certo senso è vero, probabilmente, ma bisogna aggiungere, e lo ha fatto col suo solito acume Mario Luzi, che «la sua poesia non è nata a rimorchio delle traduzioni, bensì le traduzioni sono venute da un linguaggio poetico già organizzato in proprio da Quasimodo» (un giudizio, questo, su cui concordano Giovanni Raboni, Vanni Scheiwiller e Maria Luisa Spaziani, e in proposito si veda la nostra inchiesta Quasimodo, si continua a discutere, "Gazzetta del Sud", 1 maggio 1988). Allora, alla luce di ciò, perché buttare giù dalla torre tutto Quasimodo.
È possibile che non si salvi nient'altro della sua ricca e articolata produzione poetica e letteraria? Al di là delle polemiche, delle valutazioni critiche e dei gusti personali, alla fin fine Quasimodo ha comunque dalla sua parte un vasto pubblico di lettori fedeli, tanto che le sue poesie vengono regolarmente ristampate da Mondadori. Un successo, il suo, confermato da migliaia di copie vendute.
L'autore di "Ed è subito sera" continua a essere uno dei poeti italiani novecenteschi universalmente più conosciuti e le sue opere sono tradotte in almeno trentacinque lingue.Insomma, a quarant'anni dalla morte, conti sempre da fare con Salvatore Quasimodo che, indipendentemente da simpatie e antipatie letterarie, secondo Giacinto Spagnoletti aveva davvero un «grande cuore di poeta».

Sergio Palumbo
Gazzetta del Sud - 14 Giugno 2008




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