Epistolario
di Sergio Palumbo
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L'archivio personale di Sergio Palumbo comprende, fra l'altro, un ricco epistolario in cui figurano alcuni dei più bei nomi della cultura italiana contemporanea, da grandi poeti e scrittori a famosi pittori e musicisti. Quasi tutta la corrispondenza è inedita. Un paio di lettere sono state pubblicate, sia pure non integralmente, sulla stampa nazionale: nel 2004 il “Corriere della Sera” ha dedicato una pagina al suo carteggio col filosofo e senatore a vita Norberto Bobbio; nel 2006 su “la Repubblica” è apparsa una missiva del poeta Mario Luzi. Brani o citazioni di lettere inedite a lui spedite figurano tuttavia in libri, saggi e articoli.

Nel volume Salvatore Pugliatti, una vita per la cultura (1990) sono riprodotte, tratte dal suo archivio, lettere inedite del poeta Attilio Bertolucci, del musicologo Massimo Mila, dello scrittore Alessandro Bonsanti, del filosofo Norberto Bobbio, dello storico dell'arte Federico Zeri, del critico letterario e senatore a vita Carlo Bo, dei compositori Luciano Chailly, Aldo Clementi e Virgilio Mortari. Nel volume G. D'Anna, sessant'anni di editoria da Messina a Firenze (1991) è riprodotta una lettera inedita dell'editore Guido D'Anna a lui indirizzata.


Il direttore d'orchestra Gianandrea Gavazzeni con Sergio Palumbo
all'Hotel Politeama di Palermo nel 1986

Il saggio Le “lettere a Pugliatti” di Montale: cronistoria di un caso editoriale di Paola Radici Colace fa riferimento al suo epistolario e in particolare a lettere a lui inviate dai poeti Piero Bigongiari, Nelo Risi e Andrea Zanzotto, dagli scrittori Sebastiano Addamo, Stefano D'Arrigo e Silvio Guarnieri, dei critici Lanfranco Caretti, Franco Contorbia, Marco Forti, Bianca Montale e Giacinto Spagnoletti, dai musicisti Giacomo Manzoni e Goffredo Petrassi, dal direttore d'orchestra Gianandrea Gavazzeni. Nello stesso saggio vengono citati brani inediti dalle missive di D'Arrigo, Gavazzeni, Petrassi e Zanzotto (cfr. L. Fava Guzzetta, P. Radici Colace, S. Palumbo, M.L. Spaziani, Montale, Pugliatti e la poesia. Lettere di Eugenio Montale a Salvatore Pugliatti , Atti della Accademia Peloritana dei Pericolanti, Classe di Lettere Filosofia e Belle Arti, vol. LXXII – 1996, Edizioni Scientifiche Italiane, Messina-Napoli 1998, pp. 41-44).

Un suo stesso saggio contiene, inoltre, brani inediti di lettere dell'architetto Bruno Zevi, del filosofo Norberto Bobbio e degli scrittori Manlio Cancogni e Raffaele La Capria (cfr. S. Palumbo, Il fallimento della “luminosa, sana ed eroica” letteratura fascista , in “Comunicando. Osservatorio sull'informazione nel Sud”, a. II, n. 1, gennaio-marzo 2001, pp. 97-106). Tre sue lettere al poeta Giorgio Caproni, conservate nel “Fondo-Giorgio Caproni” all'Archivio contemporaneo “Alessandro Bonsanti” del Gabinetto G. P. Vieusseux di Firenze, sono consultabili anche on line.


Il poeta Giorgio Caproni con Sergio Palumbo
nello studio della sua abitazione a Roma nel 1984





Bobbio, Pirandello, Ungaretti e quel fascismo immaginario

Un carteggio inedito rivela il pensiero di Bobbio
sul rapporto fra regime e intellettuali






Corriere della Sera - 4 ottobre 2004 - pagina 27

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Attraverso la stampa intorno alla metà degli anni ' 30, gli anni di maggior consenso alla dittatura mussoliniana (come documenta L' impetuosa giovinezza, per quanto periferico come osservatorio, dal campione giornalistico di Messina), è possibile seguire esemplarmente gli sviluppi della migliore cultura nazionale, con varie sfumature di adesione al regime fino a sotterranee o esplicite posizioni di antifascismo. Sorprendentemente, infatti, su battaglieri periodici del Guf e altri anticonformisti fogli locali scrissero o addirittura esordirono, con testi ora "compromettenti" ora "trasgressivi", anche giovani non siciliani diventati poi tutti famosi: da Paolo Alatri a Mario Alicata, da Luciano Anceschi a Romano Bilenchi, da Carlo Cassola a Luigi Compagnone, da Mario Spinella a Bruno Zevi.
_ Come era prevedibile, quel libro a suo tempo suscitò un vivace confronto sviluppatosi su vari quotidiani o per via epistolare (con interventi, fra gli altri, di Giovanni Berardelli, Carlo Bo, Manlio Cancogni, Massimo Caprara, Vittorio Foa, Antonio Ghirelli, Giovanna Ioli, Raffaele La Capria, Aurelio Lepre, Giovanni Raboni, Giovanni Russo, Cesare Segre, Turi Vasile) e intrecciatosi poi con la ben più vistosa polemica scoppiata per il volume di Angelo d' Orsi, La cultura a Torino tra le guerre, che rilanciava in chiave revisionistica il dibattito sull' impegno antifascista dell' azionismo piemontese chiamando direttamente in causa proprio Bobbio.
_ Nel '92, il filosofo torinese era stato già al centro di un' accesa polemica cagionata dalla pubblicazione sul settimanale «Panorama», a corredo di un articolo di Giorgio Fabre, di una sua missiva inviata a Mussolini nel 1935, ritrovata nell' Archivio di Stato, per invocare il ritiro di un' ammonizione ricevuta per contatti con organizzazioni dell' antifascismo. Nonostante il mea culpa dello studioso in suoi pubblici interventi, la polemica sulla giovanile adesione formale al fascismo di Bobbio tornò d' attualità per un' intervista rilasciata a Pietrangelo Buttafuoco e apparsa sul «Foglio» il 12 novembre 1999. Allora Gad Lerner rimproverò a Bobbio di essersi mortificato oltre il necessario nella ricerca minuziosa delle proprie colpe per compromessi col regime.
_ Le lettere di Norberto Bobbio, dunque, oltre a una riflessione sull' Impetuosa giovinezza e sulla discussione stimolata dal libro, offrono lo spunto al filosofo di parlare ancora dei suoi rapporti personali col regime e di condannare il comportamento ambiguo degli intellettuali, ma anche di ribadire la convinzione che non ci fu una cultura fascista, d' accordo in questo con Carlo Bo e Indro Montanelli, anch' essi testimoni privilegiati e compagni di viaggio attraverso il ventennio nero, pur rappresentando ciascuno posizioni ideologiche diverse.

___________________________________Sergio Palumbo

 

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Le lettere che seguono fanno parte di un carteggio iniziato nel 1999 e proseguito l' anno successivo.
Ne furono protagonisti il filosofo Norberto Bobbio e il giornalista storico Sergio Palumbo, cui il primo si rivolge in seguito alla pubblicazione del volume «L' impetuosa giovinezza di antiborghesi senza rimedio. Fascismo e afascismo nella stampa messinese degli anni Trenta», edito da Edas nel '99
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" 28 novembre 1999

Caro Palumbo,
il suo libro mi è venuto fra le mani proprio nei giorni in cui non si sono ancora spenti gli echi della mia intervista con Buttafuoco sulla mia giovinezza e i miei rapporti col fascismo di allora. Ho fatto bene, ho fatto male? Pareri discordi.
Il più severo di tutti Gad Lerner, in una replica pubblicata su «Il foglio» ha detto scherzosamente che ho fatto una "fesseria". Ma io non sono per nulla pentito.

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La storia del fascismo e dell' antifascismo è stata spesso scritta senza sfumature da persone che non hanno avuto esperienze dirette di quegli anni, come se ci fossero stati fascisti e antifascisti, mentre ci sono stati fascisti dubbiosi o tali solo per convenienza, diventati antifascisti anche senza poterlo dichiarare pubblicamente; e antifascisti altrettanto dubbiosi, che nascondevano i loro dubbi e facevano finta di essere fedeli seguaci del Regime; fascisti in pubblico, antifascisti in privato, fascisti per alcuni anni, poi diventati accaniti antifascisti, ecc. ecc.
Chi più ne ha, più ne metta.
- Niente rappresenta meglio questa ambiguità che il Suo libro e l' antologia da Lei raccolta. L' ambiguità era anche nello stile e nei contenuti. Colpiscono i nomi degli autori, che ritroveremo quasi tutti schierati nell' antifascismo di sinistra... il fascismo era una casacca che si metteva e si toglieva secondo le occasioni, senza alcun imbarazzo.
_ Mi ha fatto piacere che Lei abbia tenuto presente il mi libro dimenticato «Il dubbio e la scelta», e abbia espresso la convinzione che non è mai esistita una cultura fascista. Gli articoli che Lei ha raccolti sono ancora leggibili dove non contengono nulla di "squisitamente" fascista, e illeggibili quando fascisteggiano. _Esaltando il genio del Duce e le opere del Regime con un' enfasi che suona falsissima oggi e forse appariva altrettanto falsa anche allora.

______________________________ Norberto Bobbio"

" 22 febbraio 2000

Caro Palumbo,
rimango della convinzione che sia quando si pone il tema se ci sia stata o non una cultura fascista, oppure ci s'imbatte nella domanda, cui rispondono alcuni interventi: 'Chi è stato fascista e chi no?', si cada in una trappola linguistica, da cui sorge quella che si potrebbe chiamare una commedia degli equivoci.
A cominciare dalla questione personale, se io abbia avuto ragione o torto nel dire che non c' era stata una cultura fascista, tutto dipende da che cosa si intenda per cultura.
_ Prendiamo in mano una storia della cultura del periodo fascista e si vedrà quante sono le opere rimaste nel nostro patrimonio culturale che possono dirsi d' ispirazione fascista. I grandi scrittori di quel periodo sono stati, ad esempio, Ungaretti, Pirandello, Montale, che erano i primi due politicamente fascisti, ma nessuno dei tre può essere annesso alla cultura fascista.
_ Non è neppure del tutto vero che io abbia nel frattempo cambiato idea. Recentemente in un' intervista, molto discussa, che ho avuto con Pietrangelo Buttafuoco, ho detto che la mia giovanile adesione formale al fascismo non aveva niente a che vedere con la mia formazione culturale, che attingeva ad altre fonti, a Croce anzitutto. Per quel che riguarda l' altra questione chi sia stato fascista e chi no, la difficoltà di dare una risposta dipende dal fatto che fascismo e antifascismo costituiscono una dicotomia troppo generica per poter caratterizzare i singoli individui.
_ E' una dicotomia che può servire alla storia in grande, ma non alla storia in piccolo. Né credo si possa sfuggire all' equivoco, parlando, come lei suggerisce, di afascismo. Si tratta invece di giudicare caso per caso, scrittore per scrittore, lungo un arco di tempo, fra l' altro, che è durato vent' anni. Inutile dire che altro è il fascismo dell' inizio, altro il fascismo della fine.
Quando qualcuno sostiene che la scoperta dell' antifascismo è avvenuta dopo la caduta del fascismo ed è stata retrodatata, si dimentica che il passaggio dal fascismo all' antifascismo durante il ventennio non è stato opera dei soliti voltagabbana, ma è stata una convinzione formatasi gradualmente in seguito agli errori del fascismo.
_ Pensi soltanto all' effetto sinistro che ha avuto nei giovani di allora la campagna razziale, e al ridicolo cui si espose il regime negli anni di Starace. Considerando individuo per individuo non si può fare un taglio netto tra il fascista e l' antifascista. A parte i due estremi dei fascisti arrabbiati, che poi diedero vita alla Repubblica di Salò, e dagli antifascisti coraggiosi, che conobbero la persecuzione e il carcere, la grande massa dei giovani apparteneva a quella zona grigia, di cui tanto si è parlato anche in altre circostanze, che era un po' fascista e un po' no, fascista in certe circostanze e non fascista in altre, che sapeva anche esercitare lo spirito critico di volta in volta, giudicando buone o cattive le decisioni del duce e dei gerarchi.


________________________________ Norberto Bobbio"





Il poeta Mario Luzi e Sergio Palumbo a Viterbo nel 1987


Amicizie, corone d'alloro e polemiche

Conobbi Mario Luzi a Messina, dove venne a ritirare il premio Vann'Antò nel 1983, e lo rividi subito dopo a Urbino, nella cui università allora studiavo e lui insegnava. Da allora, sino alla morte del poeta novantenne, il rapporto fu sempre vivificato da incontri avvenuti in ogni parte d'Italia – da Palermo a Milano, in occasione perlopiù di premi e convegni, ma pure di mie visite in casa sua a Firenze – oltre che ovviamente da una costante frequentazione intellettuale e da uno scambio epistolare non fitto ma comunque intenso.

La lettera spedita da Firenze il 21 novembre 1990 – pubblicata nell'edizione nazionale delle pagine culturali del quotidiano “la Repubblica” il 28 febbraio 2006 grazie anche alla gentile disponibilità del figlio del poeta Gianni Luzi – è la più significativa per partecipazione spirituale tra quelle dell'amico e maestro fiorentino conservate nel mio archivio. Gli avevo mandato un articolo in cui, prendendo spunto dall'assegnazione del premio Nobel quell'anno al poeta messicano Octavio Paz, spiegavo perché la sua candidatura, peraltro già più volte avanzata senza successo, fosse l'unica valida a rappresentare degnamente la cultura italiana in vista della futura attribuzione del massimo alloro letterario ( Octavio Paz e gli italiani , in “Gazzetta del Sud”, 20 ottobre 1990).

Il poeta mi rispose, passando frattanto dal lei al tu, senza nascondere la propria amarezza per questo Nobel sfuggito e sfuggente, confortato, tuttavia, dal fatto che «l'elenco dei grandi esclusi dal premio è di gran lunga più luminoso di quello degli autori insigniti» per «l'imprevedibilità del criterio» adottato dai giudici svedesi. Benché fosse stato per ben sette volte di seguito segnalato dall'Accademia nazionale dei Lincei, che assieme al Ministero dei Beni culturali è l'unico organismo ufficiale riconosciuto dal comitato del Nobel per presentare le candidature italiane, Mario Luzi non riuscì a eguagliare l'impresa di Carducci (1906), Deledda (1926), Pirandello (1934), Quasimodo (1959) e Montale (1975). Nel 1987, pur essendo il più accredito, venne battuto sul filo di lana da Iosif Brodskij. Otto anni più tardi fu dato tra i favoriti, con Saramago e Vargas Llosa, ma poi venne fuori a sorpresa come vincitore l'irlandese Seamus Heaney. E non mancarono le polemiche: l'antico “rivale” Brodskij disse che il poeta italiano smaniava per avere il Nobel. Ci fu anche chi rivelò che il boicottaggio di Luzi era da attribuire a “incidenti diplomatici” tra la Farnesina e l'Accademia Reale di Svezia. Luzi replicò che si trattava solamente di una “vicenda penosa”.

Infine, nel 1997, quando i giudici di Stoccolma si decisero di assegnare l'ambìto riconoscimento a un italiano ­– il che avviene, in media, ogni quindici-vent'anni – la scelta cadde, come si sa, su Dario Fo facendo così venir meno ogni speranza per l'ormai anziano poeta fiorentino. In compenso Mario Luzi, qualche mese prima di morire, ebbe l'onore di essere nominato senatore a vita dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, un traguardo per un poeta italiano condiviso finora solo con il Nobel Eugenio Montale.

Alla fine della lettera l'amarezza del poeta va stemperandosi in una confessione accorata, che mette a nudo la natura essenziale dell'uomo Luzi mentre ritorna, come un leit-motiv ricorrente in tutto il carteggio, la memoria struggente degli incontri passati: «(…) In questi anni ho avuto una intensa stagione di lavoro. Si sono fatti anche più libri di quelli che io ho veramente scritto: ricuperi, antologie, ristampe. Ma il bello della vita – se ancora ne rimane un po' – sarebbe avere almeno una parte del tempo tutta mia, assecondare il mio ritmo nel silenzio e nel colloquio. E invece mi sento oggetto di violenza continua. Ricordo alcune passeggiate fatte con te in Sicilia o a Urbino: quei pochi istanti erano questi, valevano molto. Ti mando un caro saluto, il tuo Mario Luzi».




Luzi e i Soloni di Stoccolma

la Repubblica - 28 febbraio 2006 - pag. 46.



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